Ennio Alessandro Rossi

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Cassazione Tributaria sentenza del 28 gennaio 2014
Se il costruttore di un edificio vende i box auto, con atto separato, a chi è già proprietario degli appartamenti, l’aliquota IVA applicabile è quella ordinaria, non quella agevolata. Salvo che non si dimostri che gli immobili erano stati costruiti sin dall’inizio con le autorimesse.

È questa l’interpretazione fornita dalla Corte di Cassazione – Sesta Sezione Civile (T) con l’ordinanza 28 gennaio 2014 n. 1735.
Il caso. La Commissione Tributaria Regionale della Lombardia accoglieva l’appello di una società, annullando l’avviso di accertamento oggetto d’impugnazione, inerente al pagamento di una maggiore IVA per il 2005. Il giudice di secondo grado ha ritenuto che sulla vendita di alcuni box auto da parte della contribuente ai proprietari di unità immobiliari acquistate in precedenza andasse effettivamente applicata l’aliquota IVA del 10 per cento. Infatti, le autorimesse erano state dichiarate di volta in volta come pertinenze degli appartamenti, i quali non erano “di lusso”.
La doglienza del Fisco. Avverso la sentenza della CTR meneghina ha proposto ricorso per cassazione l’Agenzia delle Entrate insistendo nella tesi dell’applicabilità, nella fattispecie, dell’aliquota IVA ordinaria del 20 per cento. Ciò perché la vendita dei box auto non era stata contestuale a quella delle unità immobiliari, mentre era del tutto irrilevante la circostanza che i box fossero stati dichiarati come pertinenze dal notaio rogante.
Osservazioni della S.C. Investiti dell’esame della controversia, i giudici con l’ermellino osservano che i parcheggi realizzati in eccedenza rispetto allo spazio minimo richiesto dall'articolo 2 n. 122/1989 non sono soggetti a vincolo pertinenziale in favore delle unità immobiliari del fabbricato. Ne consegue che l'originario proprietario-costruttore del fabbricato stesso può legittimamente riservarsi, o cedere a terzi, la proprietà di tali parcheggi, nel rispetto del vincolo di destinazione nascente da atto d'obbligo col Comune (cfr. SS.UU. n. 12793/2005. Così anche Cass. n. 1664/2012).

Peraltro l'aliquota agevolata prevista dal punto 21 della parte seconda della tabella A, allegata al D.P.R. n. 633/1972 - riguardante i fabbricati e porzioni di fabbricati di cui all'articolo 13 della Legge n. 408/1949 (c.d. Legge Tupini), ceduti da imprese costruttrici, ancorché non ultimati, purché permanga l'originaria destinazione - non si applica a un'impresa edile che si sia limitata a rivendere un immobile da essa non costruito, atteso che detta agevolazione tributaria ha la finalità di favorire lo svolgimento dell'attività edilizia, anche se esercitata in tutto o in parte con la collaborazione di terzi, ma non può estendersi all’attività commerciale meramente speculativa di compravendita di immobili.

Nel caso in esame, pertanto, la società contribuente avrebbe dovuto fornire la prova di avere costruito gli immobili fin dall’inizio con le autorimesse, poi cedute; e infatti le norme che prevedono un’aliquota IVA ridotta costituiscono un’eccezione, sicché spetta al contribuente dimostrare l’esistenza dei presupposti per la loro applicazione (cfr. anche Cass. n. 7124/2003).
Onere probatorio non assolto. Ebbene, la Suprema Corte ha dichiarato fondata la doglianza dell’Amministrazione Finanziaria e, decidendo la causa nel merito, ha respinto il ricorso introduttivo della contribuente che non ha dimostrato l’esistenza dei presupposti per l’applicazione dell’aliquota IVA ridotta. Le spese del giudizio sono state compensate.
dr. Gigliotti , commercialista
 

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