Gatta

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DA "IL SOLE 24 ORE".

"È reato insultare la vicina che chiede il silenzio notturno.
La Cassazione interviene per statuire ex cathedra che "mandare coloritamente a quel paese la madre del neonato colpevole solo di chiedere il silenzio notturno", supera anche i proverbiali eccessi di ordinaria conflittualità da scala. La Quinta sezione penale (sentenza 48072/11, depositata il 22 dicembre), nel dirimere una violenta controversia avvenuta due anni fa in uno stabile di Grosseto, è stata chiamata a ribadire i canoni minimi della civile convivenza forzata sotto lo stesso tetto. Tra i quali non rientra appunto il linguaggio da bisca clandestina per rispedire al mittente l'inquilina che, scampanellando al piano di sotto, invoca di mettere fine al rumore per consentire il riposo del neonato di otto mesi. A dispetto di tutto, invece, la colpevole del fatto (meglio, del reato di ingiuria) ha investito la Corte, sperando di sentirsi dire, tra l'altro, che «mandare a...» e invitare a «non rompere...» è ormai linguaggio ricorrente, sdoganato e quindi men che mai offensivo.
I giudici supremi, al contrario, pur prendendo drammaticamente atto «del degrado del linguaggio e della inciviltà che oramai non di rado contraddistingue il rapporto tra i cittadini» si sono ben guardati dallo scriminare il diluvio di offese scatenate da una semplice richiesta di sobrietà. Anzi, rimproverano gli ermellini «il ripetuto epiteto "va...", accompagnato dalle espressioni "non mi rompere i..." e "non mi rompere il..." non è soltanto indice di cattiva educazione e di uno sfogo dovuto a una pretesa invadenza dell'offeso, ma anche del disprezzo che si nutre nei confronti dell'interlocutore». Come dire, in altre parole, la giurisprudenza della buona creanza. Perché se è vero, accondiscendono i giudici, che talvolta la Cassazione ha scriminato un certo tipo di vernacolo (per esempio tra colleghi in determinati contesti) «è opportuno ricordare che la valutazione circa la portata offensiva delle frasi pronunciate spetta ai giudici di merito, che doverosamente debbono tenere conto del contesto nel quale si è verificato il fatto» e, nel caso di Grosseto, «la motivazione che sorregge tale valutazione è congrua ed immune da manifesta illogicità, quindi non censurabile» in ultima sede.
Condòmino avvisato, mezzo salvato. Ma attenzione all'ultima postilla: anche in casi di questo tipo, la parola della parte lesa vale di più di quella dell'imputato (che sosteneva di essere stata provocata). Ergo, talvolta è meglio mordersi la lingua, visto che oltre al danno morale si rischia di pagare l'intero cumulo delle spese processuali." (Galimberti).
Meditate amici di propit ed attenzione alle parole "forti".
Se la sentenza Vi interessa,posso fare una ricerca per procuramene copia integrale.
Un caro,cordiale saluto da Gatta che Vi ricorda sempre con affetto!!E che spero non abbiate dimenticato!
Gatta
 

Gatta

Membro Attivo
Come mi ero ripromesso sono riuscito a rintracciare la sentenza de qua e dopo qualche problema sono riuscito a estrarne una copia.Il giudicato sarà utile per il nostro database (càspita oltre 35.000 utenti!!).
"Svolgimento del processo - Motivi della decisione
S.L. è stata condannata, anche al risarcimento dei danni subiti dalla parte civile, nei due gradi di merito per il delitto di ingiuria in danno di C.P., inquilina del piano sottostante che, infastidita dal rumore, che non consentiva al suo bambino di otto mesi di dormire, aveva bussato alla casa della vicina, scampanellando ripetutamente verso le ore 22,00, per protestare.
La condanna era fondata sulle dichiarazioni della parte civile, confortate da quelle rese dal marito dell'imputata, D. B., e da un vicino, Be.Gi..
Con il ricorso per cassazione l'imputata deduceva:
1) la omessa motivazione con riferimento alla verifica di attendibilità della deposizione della parte offesa, che non risultava affatto confermata dalle altre due testimonianze perchè il B. aveva sentito soltanto le due donne parlare ad alta voce ed il Be. aveva sentito soltanto la voce dell'imputata che diceva vaf*******; in particolare il tribunale non avrebbe tenuto conto delle considerazioni contenute nell'atto di appello, motivando per relationem alla sentenza di primo grado;
2) la omessa e, comunque, illogica e contraddittoria motivazione in ordine alla portata ingiuriosa della frase pronunciata dalla ricorrente, che a sostegno della sua tesi richiamava anche alcune pronunce della Suprema Corte;
3) la violazione dell'art. 599 cod. pen., dovendosi nei fatti ravvisare reciprocità delle ingiurie o provocazione della C., ed omessa motivazione in ordine ad analoga richiesta contenuta nei motivi di appello;
4) la violazione degli artt. 185 cod. pen. e artt. 1227 e 2059 cod. civ. per omessa motivazione in ordine al concorso di colpa della vittima e sulla liquidazione del danno morale.
I motivi posti a sostegno del ricorso proposto da S.L. non sono fondati.
E', invero, infondato il primo motivo di impugnazione.
La parte lesa è stata ritenuta attendibile da entrambi i giudici di merito -le due sentenze essendo conformi si integrano- e le osservazioni della ricorrente, peraltro di merito perchè sostanzialmente richiedono una rivalutazione della testimonianza della C. e degli altri due testi B., marito della imputata, e Be., condomino, non consentono di mettere in dubbio le conclusioni alle quali sono pervenute le due prime sentenze.
Corretta appare la valutazione di attendibilità della parte lesa che - è appena il caso di ricordarlo - è, secondo costante giurisprudenza della Suprema Corte, testimone a tutti gli effetti, non essendo richiesti riscontri per una valutazione di attendibilità così detta estrinseca perchè la posizione del teste-parte lesa non è parificabile a quella delle persone di cui all'art. 210 cod. proc. pen..
Che vi sia stato un diverbio tra le due donne -entrambe alzarono la voce- per ragioni condominiali è circostanza pacifica perchè comprovata anche dalle testimonianze del B. e del Be.;
che la S. ebbe a pronunciare frasi offensive nei confronti della C. è fatto che può ritenersi pacifico perchè il Be., testimone indifferente, sentì almeno un epiteto ingiurioso.
Ed allora in tale quadro probatorio correttamente i giudici del merito hanno ritenuto pienamente attendibile la parte lesa, che aveva riferito di essere stata investita dalle frasi ingiuriose riportate nel capo di imputazione.
Le suggestive osservazioni della ricorrente non scalfiscono il quadro probatorio sommariamente delineato.
Non può dubitarsi della portata offensiva delle frasi pronunciate dalla ricorrente. Ed, infatti, pur dovendosi prendere atto del degrado del linguaggio e della inciviltà che oramai non di rado contraddistingue il rapporto tra i cittadini, il ripetuto epiteto vaf*******, accompagnato dalle espressioni non mi rompere i ******** e non mi rompere il *****, non è soltanto indice di cattiva educazione e di uno sfogo dovuto ad una pretesa invadenza dell'offeso, ma anche del disprezzo che si nutre nei confronti dell'interlocutore.
Nè il richiamo a pregressa giurisprudenza di questa Corte consente di pervenire a diverse conclusioni perchè i casi richiamati non sono sovrapponigli a quello in discussione in quanto l'uso ripetuto, che caratterizza l'episodio contestato alla S., dei termini offensivi dinanzi ricordati correttamente è stato ritenuto dai giudici del merito, tenuto conto del contesto nel quale sono stati pronunciati -lite tra vicini-, è stato ritenuto offensivo.
Del resto è opportuno ricordare che la valutazione circa la portata offensiva delle frasi pronunciate spetta ai giudici di merito, che doverosamente debbono tenere conto del contesto nel quale si è verificato il fatto; la motivazione che sorregge tale valutazione è nel caso di specie congrua ed immune da manifeste illogicità e, quindi, non censurabile in sede di legittimità.
Anche il terzo motivo di impugnazione è destituito di fondamento.
Non vi sono elementi, emergenti dalle due sentenze di merito, per ritenere che anche la C. abbia ingiuriato la ricorrente; anche la parte lesa ha alzato la voce, come riferito dai due testimoni, ma nessuno dei due ha sentito la stessa pronunciare ingiurie.
Non vi è spazio, pertanto, per la esimente della reciprocità di cui al dell'art. 599 cod. pen., comma 1.
Ma, ha osservato ancora la ricorrente, la C. ha scampanellato più volte, ha chiesto il silenzio alle ore dieci della sera, ha detto, dopo le prime frasi offensive della ricorrente, guarda che potrei anche denunciarti, cosicchè ha posto in essere fatti ingiusti che hanno suscitato uno stato d'ira e legittimato la reazione della ricorrente.
La tesi non può essere accolta perchè bussare alla porta di un vicino, anche se più volte, non è fatto che possa ritenersi ingiusto tanto da legittimare una reazione tanto scomposta; la richiesta del silenzio perchè a causa del rumore il figlio neonato della parte offesa non riusciva a prendere sonno può non essere opportuna se fatta alle dieci di sera -anche se bisognerebbe conoscere l'entità del rumore -, ma ancora una volta non costituisce per nulla fatto ingiusto al quale reagire in stato d'ira con frasi ingiuriose, perchè corrisponde alle regole del vivere civile che un vicino per ragioni particolari - malattia di un congiunto, pianto di un neonato ed altro - possa bussare alla porta e chiedere di fare meno rumore.
Anche la frase potrei anche denunciarti -non si sa bene se riferita alla condotta rumorosa o, come è più logico ritenere, tenuto conto del momento in cui è stata pronunciata, alle prime frasi ingiuriose pronunciate dalla S. - non ha le caratteristiche del fatto ingiusto perchè è pienamente legittimo che chi si senta offeso ricorra alla giustizia; ed è anche legittimo preannunciare una siffatta iniziativa.
Non ricorrono, pertanto, nemmeno i presupposti per l'esimente di cui all'art. 599 cod. pen., comma 2.
Quanto, infine, all'ultimo motivo di impugnazione va detto che i giudici del merito, hanno determinato - peraltro in una misura che non appare oggettivamente eccessiva - in via equitativa l'ammontare del danno morale risarcibile, tenuto conto del contesto nel quale il fatto si era verificato e, quindi, anche del fatto che le offese erano state pronunciate in presenza anche di altre persone.
Si tratta di una valutazione discrezionale dei giudici di merito che, essendo sorretta da una motivazione non manifestamente illogica non è censurabile in sede di legittimità.
Per le ragioni indicate il ricorso deve essere rigettato e la ricorrente condannata al pagamento delle spese del procedimento ed alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile, che si liquidano in complessivi Euro 1.200,00, oltre accessori come per legge.

P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali ed alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile, che si liquidano in complessivi Euro 1.200,00, oltre accessori come per legge."
Buona lettura e per me,appena possibile,un "furlan" offerto dai Soci!
Gatta
 

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