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Di PIERCAMILLO FALASCA – Circa 1870 miliardi di euro. L’Italia conclude il suo primo secolo e mezzo di storia unitaria con un debito superiore al reddito nazionale annuale, una zavorra legata alla caviglia che frena le potenzialità di crescita, brucia ogni anno molte decine di miliardi di euro d’interessi e tiene lo Stato italiano in una condizione di sovranità finanziaria limitata: ogni spiffero di corrente – leggasi ogni piccolo rialzo dei tassi – può provocare l’influenza.

C’è chi continua a sostenere, come sovente fa Giulio Tremonti e come di recente ha fatto qualche autorevole analista, che il salvagente per l’Italia sarebbe rappresentato dal consistente patrimonio privato delle famiglie italiane, stimato dalla Banca d’Italia in una cifra prossima agli 8300 miliardi. Se il ministro resta vago, altri sono più diretti nell’esplicitare come e perché la ricchezza privata renderebbe solido lo Stato italiano: attraverso una possibile imposta patrimoniale.

Ad inizio dicembre, ci ha pensato Giuliano Amato ad evocare tale possibilità, parlando ad un convegno promosso dalle Nuove Ragioni del Socialismo, la rivista diretta da Emanuele Macaluso, e dalla fondazione socialdemocratica tedesca Ebert Stiftung:
“L’Istat ha detto che il nostro debito totale ammonta a circa 30.000 euro per italiano. Non è così gigantesco. Un terzo di questo debito abbattuto metterebbe l’Italia in una zona di assoluta sicurezza. Potrebbe arrivare a circa l’80 per cento del Pil. Un terzo significa, probabilmente, imporre ad un terzo degli italiani, teoricamente, di pagare un terzo dei 30.000. E’ così spaventoso spalmare, tra chi ha di più rispetto a chi ha di meno, 10.000 euro per risolvere un problema che così grave?”.

E’ una proposta profondamente demagogica, quella del due volte presidente del Consiglio. Volentieri la archivieremmo come il riflesso nostalgico di chi nel 1992 s’insinuò nottetempo nei conti correnti degli italiani per un prelievo straordinario, se un certo ministro dell’Economia non continuasse da mesi a sottolineare quanto lo Stato italiano può star tranquillo in virtù di tanta ricchezza privata.

E’ bene fare chiarezza: il patrimonio privato (immobili e attività finanziarie) è il frutto del lavoro e dell’investimento, il beneficio permesso dalla rinuncia al consumo presente in vista di un consumo futuro, l’eredità della propria famiglia. Ad essere spaventoso – per usare le parole di Amato – è pensare che lo Stato abbia la legittimità di ridurre la sua pesante posizione debitoria, che è il fallimento della gestione pubblica e politica degli ultimi decenni, chiedendo ai contribuenti più ricchi di farsi carico del salvataggio.

Ispirato dalle parole di Amato, Salvatore Tutino del CNR ha effettuato una simulazione della proposta di abbattimento di un terzo del debito pubblico attraverso un’imposta patrimoniale, immaginando una griglia di aliquote progressive (4-8-12 per cento) da applicare ai patrimoni di valore superiore ai 100mila. Per fare degli esempio, al proprietario di un patrimonio di 300mila euro (un piccolo appartamento) il sacrificio richiesto sarebbe di 12mila euro, per un patrimonio di 600mila euro l’imposta ammonterebbe a 48mila euro. Non stiamo parlando di bruscolini, tanto più che per alcune famiglie – molto patrimonializzate ma a reddito non alto – pagare l’imposta rappresenterebbe un sacrificio immane.

Il dottor Sottile ama i virtuosismi verbali (“Un terzo significa… imporre ad un terzo… di pagare un terzo…”), ma evita di scendere nei particolari. Se lo facesse, dovrebbe probabilmente spiegarci perché a suo parere un’imposta patrimoniale – l’equivalente moderno e coatto dell’oro alla patria di fascista memoria – sarebbe preferibile ad un rigoroso e robusto piano di alienazioni del patrimonio pubblico, a partire dalla privatizzazione della selva di aziende a partecipazione pubblica di cui è disseminato il Paese. E dovrebbe convincerci che i mercati finanziari internazionali non prenderebbero la mossa per quella che a noi oggi appare: una vera e propria nazionalizzazione del risparmio, con le prevedibili conseguenze in termini di credibilità dell’Italia come approdo per gli investimenti esteri e con gli inevitabili effetti depressivi sul già zoppicante ciclo economico. Ancora, il gran socialista dovrebbe spiegarci perchè anteporrebbe la patrimoniale ad un piano draconiano di riduzione della spesa pubblica, sulla falsariga di quanto fatto dal Governo Cameron nel Regno Unito .

Come un vecchio nobile decaduto, costretto a vendersi l’argenteria di famiglia per pagare le spese di una lussuosa tenuta di campagna, senza chiedersi se può ancora permettersi quella proprietà, così l’Italia che riflette sulla patrimoniale non si pone la domanda cruciale: con un’economia in stagnazione o in recessione da molti anni, quanto possiamo ancora permetterci questo Stato, questo sistema pensionistico, questo sistema sanitario?

LiberaMenteServo - QUELLI CHE RAGIONANO DI IMPOSTA PATRIMONIALE (10.000€ A TESTA, PER ADESSO...)
 

GianfrancoElly

Membro Attivo
Proprietario Casa
Due osservazioni:
1) all'estero esiste un'imposta patrimoniale?
2) una parte del debito pubblico italiano è dovuto all'elevato indiscriminato welfare che ha permesso a molte famiglie italiane di "risparmiare". In USA il risparmio privato è inferiore perchè, per esempio, le tasse scolastiche sono enormi, le spese della salute non sono a carico dello stato, ecc.
 

luigi pelagi

Membro Attivo
Condivido pienamente l'articolo di Piercamillo Falasca. Piove sempre sul bagnato e si colpiscono soprattutto i piccoli risparmiatori e i piccoli proprietari. Nessuno prova a stanare seriamente i veri grandi evasori, ben protetti da società di comodo allocate nei vari paradisi fiscali. Le grandi lobby, ben salde fra loro, hanno da tempo formato dei veri comitati d'affari, che si tutelano si proteggono e sfuggono ad ogni controllo. Autentiche "cricche" del malaffare che succhiano il sangue al cetomedio, ormai in via d'estinzione. Una volta si insisteva per eliminare i gravi squilibri sociali presenti nella società, oggi purtroppo si va in direzione opposta. Luigi Pelagi.
 

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