gisagio

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Ho venduto casa sei anni fa, in presenza di un compromesso, iniziando la pratica del terzo condono edilizio e pagando quanto aveva calcolato il geometra di fiducia.Dopo sei anni il comune ha scritto all'acquirente per il pagamento di somme integrative. L'acquirenta ha "girato" a me venditrice la richiesta del comune per cui io ho pagato l'integrazione di oneri. Ora il comune stesso dichiara di dover rilasciare l'atto concessorio in sanatoria all'acquirente e non a me venditrice, titolare della pratica di condono ed unica ad aver pagato gli oneri concessori sia sei anni fa che oggi. Chiedo:era appliocabile il silenzio-assenso dopo sei anni? A chi deve essere rilasciata la concessione in sanatoria a me venditrice e onerata di tutti i pagamenti o all'acquirente?
 

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Attualmente, nonostante il decorso di svariati interventi dall'entrata in vigore della prima legge sul condono edilizio (ci riferiamo alla nota l. 28 febbraio 1985, n. 47), sono ancora in fase di svolgimento, in molti comuni d'Italia, numerosi procedimenti di definizione delle pratiche edilizie in sanatoria, proposte dai diretti interessati per lottizzazione abusiva. Le pratiche amministrative in discorso tendono essenzialmente a sanare le opere abusive, ottenendo il rilascio della concessione in sanatoria.

Per far ciò, è necessario che il richiedente il condono versi inizialmente la terza parte delle somme dovute a titolo di oblazione, tendenti alla corresponsione dei contributi concessori onde ripagare le spese che la pubblica amministrazione deve sopportare per dotare gli immobili abusivamente lottizzati dei servizi utili (illuminazione, acqua, fogne, servizio spazzatura e via discorrendo).

Orbene, i comuni, solitamente, sfruttando le tabelle allegate alla legge sul condono edilizio e quelle risultanti dalla legge Bucalossi (l. 10 gennaio 1977, n. 10, recante norme in materia di edificabilità dei suoli e di rilascio delle concessioni edilizie), determinano le somme dovute in regime di autoliquidazione. Su tale determinazione vale il principio di buona fede del privato, nel senso che i comuni non possono esigere, a distanza di anni, somme diverse da quelle unilateralmente determinate in fase di autoliquidazione, vale a dire di calcolo automatico effettuato dagli uffici comunali.

V'è però da osservare che innumerevoli comuni continuano a tutt'oggi illegittimamente a chiedere ai cittadini l'esborso di somme non più dovute, perché prescritto è il diritto a incassarle. La norma di riferimento è rappresentata dall'art. 35 comma 18, l. n. 47/1985. Tale disposizione è estremamente importante nell'ottica dell'argomento trattato.

Infatti, la stessa prescrive che " Fermo il disposto del primo comma dell'articolo 40 e con l'esclusione dei casi di cui all'articolo 33, decorso il termine perentorio di ventiquattro mesi dalla presentazione della domanda, quest'ultima si intende accolta ove l'interessato provveda al pagamento di tutte le somme eventualmente dovute a conguaglio ed alla presentazione all'ufficio tecnico erariale della documentazione necessaria all'accatastamento. Trascorsi trentasei mesi si prescrive l'eventuale diritto al conguaglio o al rimborso spettanti ".

La norma in oggetto è stata così modificata dall'art. 4, d.l. 12 gennaio 1988, n. 2, convertito nella l. 13 marzo 1988, 68.

La giurisprudenza amministrativa maggioritaria si è più volte soffermata sulle tematiche rivisitate, dettando interessanti principi. In relazione alla formazione del silenzio-assenso sull'istanza di sanatoria delle opere abusive realizzate, è stato significativamente sentenziato che il termine di 24 mesi per la formazione del silenzio decorre dalla data di ricevimento, da parte del comune, dell'istanza di condono edilizio, potendo al più slittare laddove il comune richieda l'invio della documentazione integrativa al privato, decorrendo il termine per la formazione del silenzio-assenso, in questo caso, dall'istante in cui il privato provveda all'invio dei documenti aggiuntivi. La censurabile condotta di molti comuni (che richiedono l'integrazione documentale addirittura molti anni dopo l'avvio della pratica edilizia in sanatoria) ci spinge a credere che il silenzio-assenso si formi sempre e comunque dalla data di ricezione pubblicistica della richiesta di sanatoria. Quanto evidenziato è estremamente rilevante, perché se si forma il silenzio-assenso il cittadino è come se fosse di fatto in possesso della concessione in sanatoria, perché la pratica si intende accettata dal comune. Qualora sorgessero ulteriori problemi con l'ente territoriale, il cittadino potrà ricorrere al Tar competente per territorio (cioè al Tar competente in relazione al comune presso cui il procedimento di sanatoria è stato avviato) per chiedere la declaratoria di intervenuta formazione del silenzio-assenso e, in subordine, la condanna della P.a. a emettere la concessione in sanatoria, condanna possibile, trattandosi di attività amministrativa vincolata, verso la quale il cittadino può vantare il diritto soggettivo al rilascio dell'atto concessorio.

Per quanto riguarda, invece, il tempo massimo entro il quale il comune può chiedere al privato le somme a titolo di oneri concessori e di importi richiesti in regime di autoliquidazione (ossia degli importi indicati nelle cartelle di pagamento inviate dal comune, contenenti anche gli avvisi di ingiunzione), la giurisprudenza è ferma nel ritenere che il termine massimo sia di 36 mesi (cioè di 3 anni) dall'istante in cui la domanda di sanatoria è stata proposta o, al più tardi, dalla data di deposito della documentazione integrativa. Anche per gli oneri concessori in senso stretto si sta concretizzando la possibilità di invocare il termine triennale e non quello decennale.

V'è ulteriormente da dire che se il cittadino versa le somme non dovute, richieste nelle ingiunzioni di pagamento, questi può chiederne la restituzione al comune in sede giudiziaria, oltre interessi legali e rivalutazione monetaria e ciò poiché il privato, versando, non riconosce alcun debito nei confronti dell'amministrazione comunale né rinuncia ad avvalersi della prescrizione. Si tratta, in sostanza, di un pagamento coattivamente preteso e non di un pagamento spontaneo.

Le ingiunzioni di pagamento possono (anzi devono) essere impugnate presso il competente tribunale amministrativo regionale entro il termine di 60 giorni dall'avvenuta notificazione o comunicazione ai diretti interessati, con richiesta di sospensiva.

In conclusione, se i comuni intendono riscuotere in autoliquidazione dai cittadini i crediti monetari relativi ai procedimenti di sanatoria, essi devono tempestivamente attivarsi, nei termini previsti dalla l. n. 47/85 (3 anni al massimo, decorrenti dalla ricezione della domanda di sanatoria), invitando celermente i richiedenti a produrre la documentazione integrativa ritenuta necessaria per l'esame della pratica. I documenti da richiedere devono essere documenti utili e non documenti superflui.

I funzionari che agiscano tardivamente saranno responsabili dal punto di vista amministrativo, civile, contabile e disciplinare, sia verso la P.a. di appartenenza che verso i terzi. Come ben si comprende, quasi tutte le pretese economiche avanzate dai comuni per le pratiche edilizie in sanatoria sono infondate e ingiustificate. I cittadini hanno tutto il diritto a contestare le richieste di pagamento tardive (che non denotano buona amministrazione), perché il condono edilizio non può trasformarsi in un escamotage istituzionale finalizzato a fare cassa.
 

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