amedeo

Nuovo Iscritto
Salve,
un mio cliente ha donato un immobile ad un suo secondo figlio.
Dopo la sua morte, avvenuta poco tempo dopo, un nipote ( avvocato ) ha intentato una causa
per legittima in quanto il proprio padre, avendo rinunciato all’eredità, del nonno, del patrimonio rimanente, aveva leso le spettanze per atti di disposizione, non onerosi, in vita.
E’, secondo Voi, attendibile:?::?:
 
Se dimostra che il padre ha rinunciato all'eredità in quanto non era a conoscenza della donazione fatta in vita, può procedere ad azione di riuduzione, in quantodimostrerebbe che il consenso che lo ha indotto all rinuncia era viziato:
Secondo la dottrina prevalente l’azione di riduzione si compone in realtà di tre azioni l’una collegata all’altra. La prima, azione di riduzione in senso stretto, mira esclusivamente ad accertare l’esistenza e l’inefficacia delle donazioni e delle disposizioni testamentarie lesive; la seconda, azione di restituzione contro il beneficiario della disposizione lesiva, mira ad ottenere dal beneficiario la restituzione della quota di patrimonio a questi indebitamente devoluta; la terza, azione di restituzione contro terzi aventi causa dal beneficiario della disposizione lesiva, mira a recuperare, verso i terzi, i beni ereditari o quelli donati di cui il beneficiario della disposizione lesiva abbia nel frattempo disposto (artt. 561, 562, 563 cc).

Ciò premesso, nessun dubbio sussiste, preliminarmente, circa l’astratta riducibilità della disposizione universale destinata a Venia nonostante l’attribuzione sia connotata da una sorta di animus solvendi o spirito di riconoscenza del de cuius per le cure ricevute in vita; in proposito la giurisprudenza di legittimità (Cass. civ. n.5775/1978) ha avuto modo di precisare che “Le disposizioni testamentarie (istituzione di erede o legato), anche quando rivelino motivi analoghi a quelli delle liberalità c.d. satisfattive per atto tra vivi, non sono qualificate giuridicamente da tali motivi, non esistendo in tema di successione norme analoghe a quella dell'art. 770 cc in materia di donazioni, né essendo quest'ultima applicabile per analogia; pertanto, le liberalità "mortis causa" restano assoggettate alla disciplina sulla riduzione, indipendentemente dal fatto che per il loro contenuto siano collegate ad un intento satisfattivo ovvero ad un semplice motivo di gratitudine o riconoscenza”.

Aggiunto dopo 2 minuti :

Aggiungo per maggior precisione nel dettaglio:
L'art. 526 cod.civ. sancisce l'impugnabilità della rinunzia all'eredità che sia stata posta in essere in esito a violenza o a dolo. In relazione a detti vizi della volontà si reputa siano applicabili le norme che il codice civile prescrive in materia di contratto nota1. La legittimazione attiva compete sia al rinunziante, sia ai di lui eredi. Si reputa che la relativa azione possa altresì essere esercitata dai creditori del rinunziante in via surrogatoria (art. 2900 cod.civ. apri) nota2. Legittimati passivamente sono invece i soggetti che hanno profittato della rinunzia e, quando l'azione compulsiva o ingannatrice sia da ricondurre ad altra persona, quest'ultima.

Giova ricordare che la rinunzia all'eredità è pur sempre revocabile ai sensi dell'art. 525 cod.civ. , vale a dire fino a che il diritto di accettare non sia andato prescritto ovvero se l'eredità non sia stata acquisita da ulteriori chiamati in subordine. Per tale motivo si ritiene nota3 che l'impugnativa in esame non possa essere esercitata per difetto di interesse ad agire fino a che il rinunziante abbia la possibilità di "accettare tardivamente", cioè di revocare la rinunzia ai sensi della citata norma. A livello teorico i due aspetti sono tuttavia distinti. Un conto è revocare la rinunzia, ciò che appunto importa accettazione, un altro è impugnare la rinunzia per violenza o dolo. Occorre a questo proposito domandarsi se sia implicito o meno nel promuovimento dell'impugnativa qui in esame un'accettazione tacita d'eredità nota4. In altri termini è possibile concludere nel senso che, una volta esperita vittoriosamente la relativa azione, il chiamato che aveva rinunziato sia divenuto di per sè erede? Se la risposta è negativa, se cioè in esito alla pronunzia si avrà semplicemente il risultato di ripristinare la delazione, essendo ancora libero il chiamato di poter accettare o meno, altrettanto negativa sarà la risposta al quesito. Accogliendo questa impostazione si potrebbe concludere nel senso di non richiedere, quale presupposto per l'azione, l'impraticabilità sopravvenuta della revoca della rinunzia ex art. 525 cod.civ. . Il rinunziante potrebbe vantare il mero interesse di ripristinare la situazione quo ante, cioè la semplice delazione, rimanendo comunque nella condizione soggettiva di delato nota5 .

L'azione si prescrive in cinque anni che decorrono dal giorno in cui è cessata la violenza o è stato scoperto il dolo. Secondo un'opinione nota6 sarebbe applicabile il principio quae temporalia ad agendum, perpetua ad excipiendum di cui all'art. 1442 cod.civ. : ne segue che l'annullabilità della rinunzia potrebbe esser fatta perpetuamente valere in via di eccezione. Occorre peraltro rilevare, come non ha mancato di fare un'attenta dottrina nota7, che un siffatto esito appare precluso dalla natura stessa delle questioni in gioco: non si vede come ipotizzare la concreta esecuzione dell'atto negoziale dal quale trarrebbe linfa la possibilità di opporre in via di eccezione la causa di annullabilità.
 

Gratis per sempre!

  • > Crea Discussioni e poni quesiti
  • > Trova Consigli e Suggerimenti
  • > Elimina la Pubblicità!
  • > Informarti sulle ultime Novità

Le Ultime Discussioni

Indietro
Top