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<blockquote data-quote="gigetto" data-source="post: 32285" data-attributes="member: 13234"><p>Gentile Elalla,</p><p>Ti ringrazio per il contributo anche se sarebbe opportuno poter leggere tutta la sentenza e non solo un suo estratto. In ogni caso il "succo" della tesi riportata non rappresenta una novità nè può essere letta in antitesi con quanto affermato da me e dall'avv. De Valeri. Il commento della sentenza si limita infatti a confermare che, in caso di dichiarata nullità di una clausola, si potranno ripetere i pagamenti eseguiti in forza della medesima. E' sempre stato così. Nel caso di specie poi il giudice si limita (nè potrebbe fare altrimenti) a stauire la vessatorietà di una certa clausola inserita in un determinato formulario e a comminarane la nullità. Si badi però che il <em>decisum</em> fa comunque stato solo nei confronti di quello specifico caso, anche se è dato augurarsi che possa essere confermato in casi analoghi posti alla cognizione dello stesso tribunale (se tale approccio rappresenta effettivamente l'attuale indirizzo della giurisprudenza milanese). </p><p>Nel nostro Ordinamento giuridico infatti il precedente non è vincolante (anche se è idoneo ad influenzare i giudici illuminati ogni qual volta sia autorevole, quando cioè acceda ad una motivazione apprezzabile e condivisibile).</p><p>Dunque, riassumendo: per poter invocare il criterio giuridico utilizzato dal giudice milanese occorrerà che anche gli altri giudici valutino - [/B] caso per caso - che quella determinata clausola sia concretamente vessatoria (probabilmente ai sensi del codice del Consumo, artt.33 e ss.) o che comunque non sia stata accettata per iscritto dal "consumatore" in modo consapevole (ai sensi degli arti1341 e ss. codice civile)(e per dette ragioni sia dichiarata nulla). Se invece il giudice non dovesse valutare in questo modo il caso sottoposto alla sua cognizione l'unica salvezza per il venditore "pentito" (senza giusta causa, come nel caso della Nostra) sarebbe quella della riduzione ad equità della penale. Dunque, come vedi "lo stato dell'arte" non è poi così scontato da legittimare certezze. Consiglio quindi la massima prudenza: pertanto, prima di recedere confidando nel Comunicato stampa del CODICI, la nostra utente parli con l'agente e poi, prima di esprimere la propria volontà di recedere, vada da un avvocato.</p></blockquote><p></p>
[QUOTE="gigetto, post: 32285, member: 13234"] Gentile Elalla, Ti ringrazio per il contributo anche se sarebbe opportuno poter leggere tutta la sentenza e non solo un suo estratto. In ogni caso il "succo" della tesi riportata non rappresenta una novità nè può essere letta in antitesi con quanto affermato da me e dall'avv. De Valeri. Il commento della sentenza si limita infatti a confermare che, in caso di dichiarata nullità di una clausola, si potranno ripetere i pagamenti eseguiti in forza della medesima. E' sempre stato così. Nel caso di specie poi il giudice si limita (nè potrebbe fare altrimenti) a stauire la vessatorietà di una certa clausola inserita in un determinato formulario e a comminarane la nullità. Si badi però che il [I]decisum[/I] fa comunque stato solo nei confronti di quello specifico caso, anche se è dato augurarsi che possa essere confermato in casi analoghi posti alla cognizione dello stesso tribunale (se tale approccio rappresenta effettivamente l'attuale indirizzo della giurisprudenza milanese). Nel nostro Ordinamento giuridico infatti il precedente non è vincolante (anche se è idoneo ad influenzare i giudici illuminati ogni qual volta sia autorevole, quando cioè acceda ad una motivazione apprezzabile e condivisibile). Dunque, riassumendo: per poter invocare il criterio giuridico utilizzato dal giudice milanese occorrerà che anche gli altri giudici valutino - [/B] caso per caso - che quella determinata clausola sia concretamente vessatoria (probabilmente ai sensi del codice del Consumo, artt.33 e ss.) o che comunque non sia stata accettata per iscritto dal "consumatore" in modo consapevole (ai sensi degli arti1341 e ss. codice civile)(e per dette ragioni sia dichiarata nulla). Se invece il giudice non dovesse valutare in questo modo il caso sottoposto alla sua cognizione l'unica salvezza per il venditore "pentito" (senza giusta causa, come nel caso della Nostra) sarebbe quella della riduzione ad equità della penale. Dunque, come vedi "lo stato dell'arte" non è poi così scontato da legittimare certezze. Consiglio quindi la massima prudenza: pertanto, prima di recedere confidando nel Comunicato stampa del CODICI, la nostra utente parli con l'agente e poi, prima di esprimere la propria volontà di recedere, vada da un avvocato. [/QUOTE]
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