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Testo
<blockquote data-quote="Ennio Alessandro Rossi" data-source="post: 117463" data-attributes="member: 4594"><p>Avv. Claudio Cecchella</p><p>Studio Cecchella e Soci →</p><p>Argomento: Conciliazione e mediazione</p><p></p><p>Aggiornato al 09/02/2012</p><p>CHE COS'È</p><p>Per conciliazione si intende l'insieme di strumenti che l'ordinamento offre alle parti di una controversia sui diritti per una risoluzione della lite mediante mezzi alternativi ("ADR" Alternative Dispute Resolution) ai rimedi giurisdizionali, offerti dagli organi di giustizia dello Stato, attraverso le due forme che si traducono nella conciliazione vera e propria e nella mediazione.</p><p></p><p><strong>Nella conciliazione il terzo conciliatore tenta di persuadere le parti ad esprimere una volontà conciliativa </strong>senza interferire con i suoi possibili contenuti; nella mediazione il conciliatore, che assume il nome di mediatore, offre una soluzione mediana di sua iniziativa e cerca una convergenza dei contendenti su di essa, nella sostanza cerca di influenzare per una rappacificazione la volontà delle parti nei suoi contenuti.</p><p></p><p>Per l'assimilazione dovuta al linguaggio internazionale, entrambe le attività vengono definite oggi sotto lo stesso termine di mediazione; così stabilisce la legge generale, il decreto legislativo del 4 marzo 2010, n. 28.</p><p></p><p><strong>La conciliazione è un mezzo diverso dal giudizio del giudice </strong>o dell'arbitro, <strong>poiché non deve offrire una soluzione in cui una parte ha interamente ragione e l'altra interamente torto e perché consente, nella soluzione conciliata, l'emersione di interessi economici o personali particolari delle parti, di cui il giudice, come l’arbitro, che devono applicare rigidamente la legge, non possono tenere conto</strong>.</p><p></p><p>La conciliazione nasce storicamente negli ordinamenti intermedi della società (le associazioni e le società) come forma espressa da quegli organismi per trattenere a sé le controversie interne. Questo particolarmente nell'associazionismo sindacale: le prime forme si esprimono nel diritto del lavoro, agrario e delle locazioni e si traducono successivamente in legge. Il fenomeno, per impulso del legislatore, è poi dilagato anche nelle controversie individuali, in alcune leggi speciali e poi nella citata legge generale del 2010.</p><p></p><p>COME SI FA</p><p></p><p>E' necessario distinguere una conciliazione obbligatoria, che in alcune materie (articolo 5 del decreto legislativo n. 28 del 2010) il legislatore vuole sia esperita prima che si eserciti l'azione davanti al giudice, da una conciliazione facoltativa, che è originata da un impulso spontaneo di tutte le parti, senza vincolo di sorta. Oggi la obbligatorietà, oltre che dalla legge, può essere imposta da un contratto (un atto costitutivo di un’associazione o di una società), con gli stessi effetti del tentativo obbligatorio ex lege.</p><p></p><p>La obbligatorietà provoca una pausa nel processo: se non vi è esperimento preliminare alla domanda giudiziale il giudice rinvia l'udienza e fissa alle parti un termine per lo svolgimento del tentativo.</p><p></p><p>Esiste anche una conciliazione giudiziale, tentata dal giudice nel corso del processo, obbligatoriamente nelle controversie di lavoro, in maniera discrezionale - salvo la richiesta di entrambe le parti - nelle altre controversie.</p><p></p><p>Il risultato positivo della conciliazione raggiunta è che costituisce titolo esecutivo; quindi consente in caso di violazione di avviare subito un processo esecutivo, senza dovere passare attraverso una lunga causa davanti al giudice che accerti il diritto.</p><p></p><p>L'effetto invece della conciliazione non riuscita è quello di incidere sulle spese del giudizio, che vengono poste a carico di chi ingiustificatamente non ha aderito ad una soluzione conciliativa che si avvicina al giudizio finale del giudice; non incide invece sull'esito nel merito del processo, consentendo in tal modo una libera espressione delle volontà delle parti nel tentativo, senza imporre loro la remora delle successive conseguenze nel procedimento davanti al giudice.</p><p></p><p>Questa regola è però rovesciata nel diritto del lavoro, ove si sancisce dopo la legge n. 183 del 2010 che il Giudice terrà conto nel processo della condotta tenuta dalle parti in sede di tentativo di conciliazione.</p><p></p><p></p><p>Per molte controversie la conciliazione è divenuta obbligatoria dal 20 aprile 2012</p></blockquote><p></p>
[QUOTE="Ennio Alessandro Rossi, post: 117463, member: 4594"] Avv. Claudio Cecchella Studio Cecchella e Soci → Argomento: Conciliazione e mediazione Aggiornato al 09/02/2012 CHE COS'È Per conciliazione si intende l'insieme di strumenti che l'ordinamento offre alle parti di una controversia sui diritti per una risoluzione della lite mediante mezzi alternativi ("ADR" Alternative Dispute Resolution) ai rimedi giurisdizionali, offerti dagli organi di giustizia dello Stato, attraverso le due forme che si traducono nella conciliazione vera e propria e nella mediazione. [B]Nella conciliazione il terzo conciliatore tenta di persuadere le parti ad esprimere una volontà conciliativa [/B]senza interferire con i suoi possibili contenuti; nella mediazione il conciliatore, che assume il nome di mediatore, offre una soluzione mediana di sua iniziativa e cerca una convergenza dei contendenti su di essa, nella sostanza cerca di influenzare per una rappacificazione la volontà delle parti nei suoi contenuti. Per l'assimilazione dovuta al linguaggio internazionale, entrambe le attività vengono definite oggi sotto lo stesso termine di mediazione; così stabilisce la legge generale, il decreto legislativo del 4 marzo 2010, n. 28. [B]La conciliazione è un mezzo diverso dal giudizio del giudice [/B]o dell'arbitro, [B]poiché non deve offrire una soluzione in cui una parte ha interamente ragione e l'altra interamente torto e perché consente, nella soluzione conciliata, l'emersione di interessi economici o personali particolari delle parti, di cui il giudice, come l’arbitro, che devono applicare rigidamente la legge, non possono tenere conto[/B]. La conciliazione nasce storicamente negli ordinamenti intermedi della società (le associazioni e le società) come forma espressa da quegli organismi per trattenere a sé le controversie interne. Questo particolarmente nell'associazionismo sindacale: le prime forme si esprimono nel diritto del lavoro, agrario e delle locazioni e si traducono successivamente in legge. Il fenomeno, per impulso del legislatore, è poi dilagato anche nelle controversie individuali, in alcune leggi speciali e poi nella citata legge generale del 2010. COME SI FA E' necessario distinguere una conciliazione obbligatoria, che in alcune materie (articolo 5 del decreto legislativo n. 28 del 2010) il legislatore vuole sia esperita prima che si eserciti l'azione davanti al giudice, da una conciliazione facoltativa, che è originata da un impulso spontaneo di tutte le parti, senza vincolo di sorta. Oggi la obbligatorietà, oltre che dalla legge, può essere imposta da un contratto (un atto costitutivo di un’associazione o di una società), con gli stessi effetti del tentativo obbligatorio ex lege. La obbligatorietà provoca una pausa nel processo: se non vi è esperimento preliminare alla domanda giudiziale il giudice rinvia l'udienza e fissa alle parti un termine per lo svolgimento del tentativo. Esiste anche una conciliazione giudiziale, tentata dal giudice nel corso del processo, obbligatoriamente nelle controversie di lavoro, in maniera discrezionale - salvo la richiesta di entrambe le parti - nelle altre controversie. Il risultato positivo della conciliazione raggiunta è che costituisce titolo esecutivo; quindi consente in caso di violazione di avviare subito un processo esecutivo, senza dovere passare attraverso una lunga causa davanti al giudice che accerti il diritto. L'effetto invece della conciliazione non riuscita è quello di incidere sulle spese del giudizio, che vengono poste a carico di chi ingiustificatamente non ha aderito ad una soluzione conciliativa che si avvicina al giudizio finale del giudice; non incide invece sull'esito nel merito del processo, consentendo in tal modo una libera espressione delle volontà delle parti nel tentativo, senza imporre loro la remora delle successive conseguenze nel procedimento davanti al giudice. Questa regola è però rovesciata nel diritto del lavoro, ove si sancisce dopo la legge n. 183 del 2010 che il Giudice terrà conto nel processo della condotta tenuta dalle parti in sede di tentativo di conciliazione. Per molte controversie la conciliazione è divenuta obbligatoria dal 20 aprile 2012 [/QUOTE]
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