marcodf

Nuovo Iscritto
C'è qualcuno che sappia indicarmi qualche sentenza della Cassazione o del Consiglio di Stato e/o altro, che sanciscano in maniera chiara ed inequivocabile la legittimità urbanistica dei fabbricati (di qualsiasi genere) edificati prima del 01/09/1967 fuori dalla perimetrazione dei centri urbani nei Comuni sprovvisti di strumenti urbanistici?
Anticipatamente grazie.
 

davidecarli

Nuovo Iscritto
vedi se ti può essere utile questo parere, che non e mio ma penso pertinente al tuo quesito. Buona lettura.
"Affinché sia possibile il legittimo rilascio di un titolo edilizio per poter procedere alla ristrutturazione di un fabbricato, è necessario che esso risulti esistente in rerum natura.
Allo scopo, in mancanza di un’apposita definizione legislativa del concetto di “costruzione”, può definirsi come tale – ai sensi e per gli effetti della legge urbanistica – quell’opera che sia stabilmente infissa al suolo, con o senza impiego di malta cementizia, purché, attraverso il detto sistema di collegamento, si abbia l’incorporazione dell’opera stessa al suolo e la sua conseguente immobilizzazione rispetto a quest’ultimo.
È poi da ritenere che una costruzione possa considerarsi “esistente” ogniqualvolta si possa procedere, con un sufficiente grado di certezza, alla ricognizione dei suoi elementi strutturali, in modo tale che, seppur non necessariamente “abitato” o “abitabile”, l’edificio possa essere comunque individuato nei suoi connotati essenziali, come identità strutturale, in relazione anche alla sua concreta destinazione d’uso.
È quanto precisato dalla recente sentenza del T.R.G.A. Trentino Alto Adige, sede di Bolzano, del 7 marzo 2006, n. 97, la quale ha respinto i ricorsi proposti da un proprietario confinante controinteressato, dichiarando la piena legittimità di due permessi di costruire rilasciati da un’Amministrazione comunale del bolzanese per la ristrutturazione di un preesistente edificio: nel caso di specie, si trattava di una vecchissima costruzione, disabitata da decenni e ridotta a poco più di ruderi, in ordine alla quale, tuttavia, il Tribunale amministrativo locale – sulla scorta della documentazione fotografica prodotta in giudizio dalle parti – ha ritenuto che fossero indubbiamente riconoscibili gli elementi strutturali dell’edificio, in modo tale da poterne individuare con certezza i suoi principali connotati, anche in relazione alla sua destinazione residenziale.
A prescindere dalla valutazione del caso concreto, in ordine al quale non si hanno gli strumenti per potersi pronunciare (dal testo della sentenza, peraltro, sembrerebbe emergere che la costruzione de qua non fosse poi così completa, da risultare individuabile con tanta certezza, ma i Giudici hanno valutato diversamente), è comunque evidente che – quantomeno a livello di principio – la decisione in esame si pone sulla scia della più tradizionale giurisprudenza amministrativa, secondo la quale gli interventi di ristrutturazione sono configurabili solo nei casi in cui preesista un organismo edilizio dotato di mura perimetrali, strutture orizzontali e copertura, e non anche nelle ipotesi di ricostruzione su ruderi o su edificio già da tempo demolito o, comunque, crollato per cause naturali (cfr. Cons. Stato, sez. V, 15 aprile 2004, n. 2142, in “Riv. giur. edilizia”, 2004, I, 1373; Cons. Stato, sez. V, 10 febbraio 2004, n. 475, in “Foro amm. CdS”, 2004, 443).
In tal senso, infatti, è il costante orientamento del Consesso di Palazzo Spada (cfr. Cons. Stato, sez. V, 1° dicembre 1999, n. 2021, in “Urbanistica e appalti” 2000, 1125; Cons. Stato, sez. V, 10 marzo 1997, n. 240, in “Cons. Stato”, 1997, I, 363; Cons. Stato, sez. IV, 22 ottobre 1993, n. 921, in “Riv. giur. edilizia”, 1994, I, 124), il quale ha avuto modo di precisare che il concetto tecnico-giuridico di “ristrutturazione” postula sempre la preesistenza di un vero e proprio fabbricato da ristrutturare e, cioè, di un’opera edilizia dotata delle quattro murature perimetrali, delle strutture orizzontali di collegamento e della copertura, con la conseguenza che non rientra nella categoria degli interventi di ristrutturazione la ricostruzione di un edificio su ruderi, costituiti da due sole murature di spina comuni a fabbricati contigui, essendo già state demolite in precedenza le strutture portanti verticali ed orizzontali in esecuzione di un’ordinanza comunale contingibile ed urgente (Cons. Stato, sez. V, 4 novembre 1994, n. 1261, in “Foro ital.”, 1995, III, 256).
Sulla stessa falsariga, del resto, anche i vari Giudici amministrativi regionali hanno chiarito che gli interventi di recupero o ristrutturazione edilizia devono riferirsi ad un edificio esistente e sostanzialmente conservato e che è, pertanto, legittimo il diniego del titolo ad aedificandum per interventi da realizzare su un rudere, che non verrebbe recuperato, ma anzi diretti a costruire un edificio sostanzialmente nuovo al posto del preesistente immobile diroccato (T.A.R. Lombardia Milano, sez. II, 21 gennaio 1994, n. 12, in “Foro amm.”, 1994, 1508). Più di recente, sono in questi termini, ex plurimis, le decisioni T.A.R. Liguria, sez. I, 3 aprile 2003, n. 451, in “Foro amm. TAR”, 2003, 1220; T.A.R. Liguria, sez. I, 24 gennaio 2002, n. 53, ivi, 2002, 86, ma anche la sentenza T.A.R. Calabria, Catanzaro, sez. I, 14 dicembre 2004, n. 2381, in “Foro amm. TAR”, 2004, 3852, secondo la quale «...l’ipotesi di ricostruzione su ruderi di un edificio già da tempo demolito o diruto è qualificabile come nuova costruzione, con necessità di un’apposita concessione edilizia o titolo corrispondente secondo la vigente normativa».
In questi termini, inoltre, è anche la giurisprudenza della Suprema Corte civile (cfr. Cass. civ., sez. II, 15 luglio 2003, n. 11027, in “Riv. giur. edilizia”, 2004, I, 178), nonché di quella della Cassazione penale, che in più occasioni ha richiesto il preventivo rilascio di un idoneo titolo amministrativo «…per ogni intervento che incide sull’organismo edilizio originario, … ed anche nel caso di ricostruzione di un edificio diruto o ridotto allo stato di rudere, dal momento che la ricostruzione dei muri diroccati ed il rifacimento del tetto mancante hanno tale incidenza sull’edificio originario da non potersi qualificare come pura e semplice attività di conservazione» (Cass. pen., sez. III, 16 marzo 2000, imp. Pianti, in “Riv. giur. edilizia”, 2002, I, 1165, ma anche Cass. pen., sez. III, 20 febbraio 2001, n. 13982, imp. Perfetti, in “Cass. penale”, 2002, 2479).
In buona sostanza, deve ritenersi che il rilascio di un titolo edilizio per procedere alla ristrutturazione sia subordinato alla possibilità di individuare, in maniera pressoché certa, l’esatta cubatura e sagoma d’ingombro del fabbricato su cui intervenire, come precisato dal Supremo Collegio amministrativo, che ha evidenziato: «Costituisce vera e propria costruzione ex novo e non già ristrutturazione, né tantomeno restauro o risanamento conservativo e, come tale, è soggetta a concessione edilizia secondo le regole urbanistiche vigenti al momento dell’istanza del privato (e non già a quelle esistenti all’epoca in cui fu realizzato il manufatto originario) la ricostruzione di un intero fabbricato, diruto da lungo tempo e del quale residuavano, al momento della presentazione dell’istanza del privato, solo piccole frazioni dei muri, di per sé inidonee a definire l’esatta volumetria della preesistenza, in quanto l’effetto ricostruttivo così perseguito mira non a conservare o, se del caso, a consolidare un edificio comunque definito nelle sue dimensioni, né alla sua demolizione e fedele ricostruzione – e, quindi, ad attuare i fini propri dell’art. 31 L. 5 agosto 1978 n. 457, diretti al recupero o al pieno ripristino del patrimonio edilizio esistente –, bensì a realizzarne uno del tutto nuovo e diverso» (Cons. Stato, sez. V, 3 aprile 2000, n. 1906, in “Foro amm.”, 2000, 1268).
Il Consiglio di Stato, invero, ha sempre considerato esclusivamente le ipotesi in cui la demolizione viene effettuata nel contesto di un’attività volta, sin dall’origine, al recupero del manufatto, e non ha mai affermato, invece, che il concetto di ristrutturazione edilizia possa estendersi alla rinnovata edificazione di fabbricati da anni inesistenti, perché distrutti o demoliti. In questo secondo caso, l’intervento non può che rispettare i parametri normativi fissati dagli strumenti urbanistici vigenti al tempo della ricostruzione o le regole stabilite da appositi piani di recupero.
Ma anche volendo allargare l’ambito operativo dell’intervento di ristrutturazione (che ora, con il nuovo T.U. in materia edilizia, ha esplicitamente considerato, a livello normativo, la demolizione e ricostruzione), estendendolo alla realizzazione di interi volumi, corrispondenti a quelli esistenti in una precedente epoca, non sembra superabile il principio secondo cui la ricostruzione dell’opera deve essere comunque effettuata in un tempo ragionevolmente prossimo a quello della demolizione, con la conseguenza che, ove sia trascorso un lunghissimo lasso temporale tra il momento della demolizione a quello di presentazione del progetto edilizio di ricostruzione, ciò fa venir meno quel nesso di contestualità che potrebbe giustificare l’applicazione della più favorevole disciplina prevista – appunto – per l’intervento di ristrutturazione edilizia (in tal senso, la parte motiva della succitata pronuncia Cons. Stato, sez. V, 3 aprile 2000, n. 1906).
Per completezza, va evidenziato che – a detta di una recente pronuncia giurisprudenziale di primo grado – l’Ente locale non potrebbe, però, diniegare tout court il chiesto titolo edilizio per la ristrutturazione di un rudere, fondandosi esclusivamente sull’esame della prodotta documentazione fotografica, o su un’erronea rappresentazione dei luoghi riportata nelle tavole planimetriche del piano regolatore. Secondo tale decisione, un siffatto diniego risulterebbe illegittimo per eccesso di potere sotto i profili del difetto di istruttoria e di motivazione, in quanto l’Amministrazione comunale, in casi del genere, ha l’obbligo di procedere in via istruttoria ad una verifica in loco dell’effettiva esistenza del rudere, verifica la cui omissione è idonea ad inficiare la legittimità del provvedimento finale negativo (così T.A.R. Valle d’Aosta, 21 gennaio 2005, n. 20, in “Foro amm. TAR”, 2005, 6)."
 

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