Clematide

Membro Attivo
Proprietario Casa
@uva

La locazione per un tempo determinato dalle parti (è il caso del “transitorio”) cessa definitivamente “con lo spirare del termine”, senza necessità di disdetta, recita il primo comma del 1596.

Il 1597 dispone che il contratto di locazione deve considerarsi rinnovato, nel caso di locazione per un tempo determinato se, “scaduto il termine di essa, il conduttore rimane ed è lasciato nella detenzione della cosa locata”.

La nuova locazione o comunque il nuovo periodo di durata del rapporto, chiamalo come vuoi, sarà regolato dalle stesse condizioni della precedente, ma con un’importante differenza: la durata non è più quella fissata dalle parti per il primo periodo, ma, se ci si attiene alla disciplina codicistica, cioè ai sensi del secondo comma del 1597 “quella stabilita per locazioni a tempo indeterminato” e cioè la durata di un anno, salvo usi locali, se l’alloggio non è arredato, e, invece, se lo è, la durata corrispondente all’unità di tempo cui è commisurata la pigione, secondo quanto dispone il 1574.

Tuttavia, il transitorio è un contratto regolato non dal codice civile, ma da una normativa speciale standardizzata, la 431 del 1998 e i suoi decreti ministeriali attuativi che si sovrappongono a quella generale codicistica riguardo la durata del contratto rinnovato, cosa che induce alcuni a ritenere riconducibile la locazione transitoria rinnovata alla medesima durata di quella originaria, esattamente come accade ai transitori per studenti universitari, per non stravolgere la specifica connotazione locativa di questo tribolato contratto.
 

basty

Membro Storico
Proprietario Casa
@Clematide
scusa la sfacciataggine.
La tua argomentazione non appare quella di un profano come me. E sembra anche plausibile. Ma è una tua elucubrazione o è anche suffragata da sentenze di merito?
 
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uva

Membro Storico
Proprietario Casa
normativa speciale standardizzata, la 431 del 1998 e i suoi decreti ministeriali attuativi che si sovrappongono a quella generale codicistica riguardo la durata del contratto rinnovato,
Infatti io ritengo doveroso attenersi alla l. 431/1998, al D.M. 16/01/2017 e all'Accordo Territoriale del Comune dove si trova l'immobile.
Ne deduco che il contratto transitorio scade e cessa senza necessità di disdetta.
Se le parti indugiano, non si attivano per il rilascio, si dimenticano della scadenza, ecc. resto della mia idea: se l'esigenza transitoria permane si stipuli un nuovo contratto transitorio; se non sussiste più si stipuli un "n" + 2 o un 4 + 4.

tribolato contratto.
Concordo su questa affermazione!

Comunque apprezzo gli interventi di @Clematide, sempre ben argomentati.
 

uva

Membro Storico
Proprietario Casa
A Roma non esiste un solo accordo territoriale, ma ne esistono due. Accordi differenti quasi sempre determinano regole differenti e conseguenze per le parti.

Sarei curiosa di sapere come si deve/può procedere in casi come questo.

Il locatore può scegliere di stipulare il contratto concordato in base all'Accordo che prevede parametri più favorevoli per lui (= un canone maggiore rispetto all'altro Accordo)?
Sebbene il conduttore preferisca l'Accordo dal quale scaturisce un canone minore.

Oppure esistono altri criteri (tipo la zona in cui si trova l'immobile) e se sì quali?

Grazie.
 

Clematide

Membro Attivo
Proprietario Casa
@uva

La sorte del contratto a Roma è legata in qualche modo al proprio assetto di interessi e all’associazione scelta che ha siglato quello specifico accordo e ai benefici che sul piano applicativo quello specifico accordo può dare ai contraenti, lacerati da accordi diversi e divergenti.

Io sinceramente non so che cosa sia capitato a Roma, so solo che, benchè debba esserci un’iniziativa di convocazione da parte del Comune rivolta alle associazioni maggiormente rappresentative a livello locale dei proprietari e degli inquilini (organizzazioni più significative non a livello nazionale che sono quelle chiamate a stipulare la Convenzione nazionale: si tratta di due condizioni distinte) indirizzata ad avviare le trattative finalizzate all’accordo,

quindi, suppongo, che associazioni diverse da quelle convocate o non maggiormente rappresentative a livello locale non possano convocarsi autonomamente e stipulare accordi locali differenti da quelli che le associazioni maggiormente rappresentative convocate dal Comune avessero sottoscritto,

oppure, benchè possa esserci, in base al terzo comma dell’art.4 della 431 e in base al secondo comma dell’art.1 del DM del 2017, da parte delle stesse organizzazioni maggiormente radicate e diffuse localmente, una formale richiesta al Comune stesso, il Comune nicchia e non adempie nei successivi 30 giorni, e allora le stesse organizzazioni maggiormente rappresentative possono convocarsi autonomamente e stipulare accordi locali, dicevo, premesso tutto questo, nulla vieta che tra associazioni differenti (convocate dal Comune o autoconvocatesi) vengano raggiunti diversi accordi.

A Roma CONFABITARE, UNIONCASA e ASSOCASA hanno sottoscritto con altre quindici associazioni un primo accordo a fine febbraio 2019, poi, ai primi di marzo, le stesse associazioni ne hanno sottoscritto un secondo, meno “ingessato”, con altre quattro associazioni. Giova precisare che il secondo accordo di Roma, quello del 4 marzo 2019, è stato segnalato al Ministero per alcune irregolarità, e il Ministero, affaccendato in altre faccende ben più gravi, non ha ancora risposto.

Senza entrare in valutazioni che appartengono alla sfera della politica associativa, ogni associazione sindacale si interfaccia con i suoi interlocutori “privilegiati” con i quali conduce le trattative dirette a raggiungere l’accordo più vantaggioso per lui e i suoi tesserati, ma la verifica della rispondenza del contratto a ciascun accordo può essere compiuta solo dall’associazione firmataria dello specifico accordo, il che vuol dire ad esempio che TECNOBORSA non potrà mai asseverare un contratto basato sull’accordo dell’ASSPI, e volutamente tralascio un altro problema che già si è presentato in questi anni, ossia quello di una o più organizzazioni non partecipanti alla conclusione dell’accordo ed alla sua sottoscrizione, saltate anni dopo (chissà perché…) sul carro delle organizzazioni firmatarie,

che sono le sole che conoscono le ragioni e le finalità delle disposizioni contenute nell’accordo locale perché le hanno esse stesse individuate, e possono valutare se ad esempio le esigenze alla base della transitorietà di un contratto sono coerenti con le fattispecie previste dall’accordo locale,

aderendo a posteriori ad un accordo intervenuto in precedenza (nulla lo vieta, sia chiaro, anzi il primo accordo di Roma del 28 febbrao 2019 lo consente al punto 5 del TITOLO F), ma pretendendo di essere legittimate a rilasciare l’attestazione di rispondenza, riservato, per espressa previsione normativa, alle sole organizzazioni firmatarie dell’accordo, anche nel caso in cui la richiesta di adesione raccolga il consenso delle stesse organizzazioni firmatarie, come sostiene malamente il Ministero, e che in alcuni casi hanno condotto in concreto ad escludere la legittimazione ad asseverare.
 
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