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In alcune trasmissioni televisive i conduttori mostrano al pubblico vari cartelli, per spiegare meglio i contenuti delle discussioni.

Orbene: quando i miei interlocutori (inquilini, amministratori di condominio, collaboratori; ma anche fra di noi soci e/o familiari) dopo l'ennesima spiegazione continuano a (fingere di) non capire, io tiro fuori e gli mostro il cartello "n + 1"
PerPiasì.jpg


Scritto nel dialetto dell'amico @basty (a cui dedico questo post), ma di facile comprensione e validità universale.
 
P.S:
La dedica a @basty potrebbe essere fraintesa: gli ho linkato il cartello nel caso gli fosse utile.

Se ne parlava qui:

(post n. #22 - 23 - 24).
 
non è anche il tuo?
Dipende dal contesto.
Essendo socievole e incline ai rapporti interpersonali, quando sono in giroola (*) cerco di adeguarmi alle parlate locali.

Ad esempio in Val Susa e nelle Valli di Lanzo (dove andiamo sovente per il trekking e anche per acquistare e vendere immobili) ci sono anziani che parlano un dialetto occitano, tipo il patois valdostano. Interessante, seppure non facile da capire.

(*) Neologismo anglo-piemontese.
 
Il patois valdostano parlato non l’ho mai imparato nonostante una frequentazione ultra sessantennale.

Sapevo che l’occitano classico fosse parlato nelle valli appunto occitane del cuneese (Maira, Varaita, e Alpi liguri Briga, Upega ecc)

Pensavo fossi piemontese d’origine, non solo residente.
Io non uso purtroppo il dialetto, ma mi spiace vada dimenticato: già i nostri figli non conoscono che pochi vocaboli; non parliamo poi di certi modi di dire.
Lӎ drolu, ma lՎ parei
 
T’las … o T’hai?

Ricordo una sorta di filastrocca di mio padre, quando voleva ironizzare sulla parlata “larga” dei torinesi di importazione ( tipica di porta pila…) in opposizione al raffinato “torinese” delle madamin con la veletta.

Ricordo solo che iniziava con :
T’sas e t’las …. Ecc

È un po’ come il vocabolo (difficile da rendere foneticamente) tra “bin” e “ben”: la i stretta era tipica dei “nuovi” torinesi: i cittadini usavano una e più chiusa del popolo del contado, ma non esattamente una i.

Ps: non sono torinese. Ma mi diverte imparare le varianti.
Un classico (vero) tra mia madre (quasi torinese) e mio padre (provincia) appena sposati:
La valeriana a Torino la chiamavano “sarset “ , nel chivassese “laciu-in”: e siamo a 20 km di distanza.

Un bellissimo esercizio di resa linguistica, poco noto, è “Ciao Masino” di Pavese: il testo alterna il racconto di Masino (studente torinese) e Masin ( sprovveduto langarolo un po’ “sfigato”): la sintassi del secondo replica la traduzione dialettale tipica delle Langhe o zMonferrato.
 

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