Il mio amico ha giustificato, legittimamente, di non voler entrare nella questione, sinceramente, perché mi ha ricordato la confidenza, in tempi non sospetti e che non ricordavo più, che i suoi investimenti decennali, gli stanno dando un'interesse piuttosto altro e che disinvestendoli, dovrei provvedere io per il tempo che rimarrebbe dalla conclusione naturale, dato che reinvestendoli in un secondo tempo non otterrebbe, diventando perciò troppo oneroso per noi rispetto al guadagno.
Come mi suggeriste tutti quanti, ho fatto decadere la mia richiesta, per condivisione alla sua tesi e in nome del legame che ci unisce.
Pensiamo, allora, in via subordinata, io e mia sorella, di chiedere un'ipoteca nelle ns. altre due abitazioni, per analizzare se le somme che verrebbero, forse, riconosciute e le spese per accendere le suddette, possano permetterci di affrontare il percorso giudiziale. Domani andrò in banca e chiederò alla funzionaria, persona integerrima, che mi segue, delucidazioni approssimative sullo sviluppo di qs. pratica.
Inoltre, ora capisco il perché non vogliano farmi uscire, liquidandomi dall'alienazione della mia quota, perché essendo il soggetto insofferente, il soggetto che recalcitra insistentemente, sarei l'unica che li possa portare alla vendita giudiziale, obiettivo loro finale.
Figuriamoci! Pertanto se l'idea delle ipoteche non fosse compensatoria, abbandono serenamente l'intento della giudiziale, e vado avanti nell'immobilità impostami.
Accenderò un'assicurazione per proteggermi dai danni prevedibili, toglierò il mio consenso a tutti i servizi di erogazione dalle varie agenzie e amen.
Grazie veramente, siete stati decisivi per darmi un quadro chiaro, realistico, e non da meno, risolutivo ad una valutazione razionale dei miei limiti legali che mi ha tolto ogni risentimento.
I parenti non si scelgono, ora li conosco bene, starò sempre in allerta per difendermi.
Vi saluto tutti cordialmente
