Luigi Criscuolo

Membro Storico
Proprietario Casa
Questo è un obbligo verso il comune, non verso il condominio.
L'obbligo di rispettare la distanza è nei confronti del confine. Confine verso l'altrui proprietà.

da:
Studio legale Loro & Partners
Avv. Marco Loro, info@studioloro.it

LE DISTANZE NEL CONDOMINIO
Come ha avuto modo di affermare la stessa Corte di Cassazione, in particolare con decisione n. 8801 del 20 agosto 1999, il legislatore ha concepito le distanze di cui all’articolo 889 del codice civile con riferimento al rapporto tra fondi contigui e che, pertanto, le stesse male si adattano al diverso scenario e ai più ristretti spazi che caratterizzano l’ambito condominiale, dove necessariamente le diverse unità e proprietà immobiliari sono disposte non solo in senso longitudinale bensì anche latitudinale.

Tale diversità di fatto comporta la necessità di affrontare una prima problematica giuridica, ovvero quella del rapporto tra norme sulle distanze e norme sul condominio negli edifici, con particolare riferimento al dettato di cui all’articolo 1102 del codice civile, secondo il quale “ciascun partecipante può servirsi della cosa purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto”.

L’applicazione pedestre di tale ultima disposizione, infatti, confligge con qualsiasi ipotesi di attuazione delle disposizioni di cui all’articolo 889 codice civile sulle distanze, salvo che si tratti di distanze tra edificio in condominio e distinta proprietà confinante (figura 3), per il quale ultimo caso la normativa dell’articolo 889 del codice civile trova piena attuazione.

La giurisprudenza, al riguardo dell’applicabilità delle norme in materia di vicinato (articoli da 869 a 1099 del codice civile) in concorrenza con quelle in materia di condominio (articoli da 1117 a 1139 del codice civile), in passato non si è espressa in modo univoco.

Con alcune decisioni si è affermato che, nei rapporti fra proprietà separate per piani, in un edificio in condominio, il principio dell’inoperatività della normativa sulle distanze legali può trovare applicazione solo con riferimento alle opere eseguite su parti comuni ma non con riguardo ai rapporti fra singoli condomini (Cassazione Civile n. 13170 del 25 ottobre 2001).

In altri casi si è affermato che le norme sulle distanze legali trovano applicazione in edifici in condominio sia con riguardo alle opere eseguite sulle cose di proprietà dei singoli condomini sia con riguardo a quelle realizzate su parti comuni (Corte d’Appello di Cagliari del 3 ottobre 1958) e in altri, invece, che i rapporti fra i proprietari di beni in condominio sono regolati dalle norme dettate per il condominio, ove si tratti della disciplina dell’uso delle cose comuni e del diritto dei condomini su di esse e dalle norme sui rapporti di vicinato e sulle servitù ove riguardi i rapporti fra le singole proprietà esclusive o fra proprietà esclusiva di un singolo condomino e parti comuni (Corte d’Appello di Brescia del 17 giugno 1963).

Ancorché le pronunce sopra citate non rappresentino che uno dei tanti aspetti facenti capo ad una casistica molto vasta, si crede possano comunque costituire un valido strumento esemplificativo del dibattito giurisprudenziale sorto in ambito condominiale.

Un equilibrio, si crede, la giurisprudenza lo ha trovato a partire da una famosa decisione della Suprema Corte di Cassazione del 1 dicembre 2000, la n. 15394, che ha ritenuto doversi applicare le norme del codice civile sui rapporti di vicinato anche nei rapporti tra le singole unità costituite in condominio ove compatibile con detto regime condominiale.

È stata per l’effetto devoluta al Giudice un’importante funzione, si crede non meramente interpretativa e applicativa della legge.

Al Giudice, di fatto, è stato richiesto di integrare il vuoto normativo, richiedendogli di effettuare una valutazione di compatibilità, in ragione particolare stato dei luoghi.

La Suprema Corte, in altre parole, ha disposto che, nell’ipotesi di contrasto tra le norme sulle distanze legali e quelle relative all’uso della cosa comune, debbano prevalere queste ultime, ma ha anche stabilito che l’esistenza di detto rapporto di subordinazione debba essere applicato, caso per caso, dal Giudice di merito.

In particolare, la Corte di Cassazione, con pronuncia 25 luglio 2006 n. 16958, ha ritenuto che le norme relative ai rapporti di vicinato trovano applicazione rispetto alle singole unità immobiliari soltanto in quanto compatibili con la concreta struttura dell’edificio e con la particolare natura dei diritti e delle facoltà dei singoli proprietari; pertanto, qualora siano invocate in un giudizio tra

condomini, il Giudice di merito dovrà accertare se la loro rigorosa osservanza non sia, nel caso, irragionevole, considerando che la coesistenza di più appartamenti in un unico edificio implica di per sé il contemperamento dei vari interessi al fine dell’ordinato svolgersi della convivenza che è propria dei rapporti condominiali.

La materia condominiale, così come accade per molti altri aspetti, anche in questo non ha trovato una soluzione di carattere legislativo specifica, dovendo gli operatori del diritto, così come i tecnici del settore, basare il proprio operato su normative previste per altri fini.



LE NORME REGOLAMENTARI

Oltre che nelle disposizioni dettate dal Codice Civile, la materia trova disciplina nel Testo Unico delle Disposizioni Legislative e Regolamentari in materia edilizia, approvato con Dpr 6 giugno 2001, n. 380, il quale testo, però, giusto il combinato disposto di cui agli articoli 2 e 4, rinvia integralmente alle disposizioni contenute negli strumenti di pianificazione urbanistica e nei Regolamenti Edilizi comunali.

Ulteriore disciplina è contenuta nei Regolamenti d’Igiene, come ad esempio quella di cui all’articolo 3.4.7 del Regolamento di Igiene del Comune di Milano, che al riguardo degli impianti di condizionamento dispone che le prese d’aria esterne debbano essere disposte ad un’altezza di almeno 3 metri dal suolo se in affaccio su area privata e a 6 metri dal suolo se in affaccio su area pubblica.

Sempre per quanto concerne la città di Milano, il Regolamento Edilizio dispone, analogamente a quanto previsto dall’articolo 889 del codice civile, che la distanza dai confini per i tubi dell’acqua potabile, dell’acqua lurida, del gas e simili non deve essere inferiore a cm 100.

Anche le norme regolamentari, quindi, per come dedotto in modo esemplificativo, non risolvono il vuoto normativo esistente, e il compito di trovare rimedio è ancora una volta demandato dal legislatore alla Magistratura.

La duplice esigenza di garantire, da un lato, la sicurezza, evitando immissioni dannose e, da un altro lato, l’apprestamento di servizi ormai ritenuti indispensabili alla vita ordinata e pacifica nell’ambito condominiale, oltre che perseguita a livello tecnico attraverso l’evoluzione scientifica, si ritiene debba esserlo anche a livello normativo statale.
 
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jac0

Membro Senior
Proprietario Casa
L'obbligo di rispettare la distanza è nei confronti del confine. Confine verso l'altrui proprietà.
Nella fattispecie la proprietà di concretizza in:
- immobili del fabbricato in condominio
- proprietà comunale.
Ossia la distanza da osservare è rispetto agli immobili e, se la parte condominiale confina con la proprietà comunale (strada), rispetto al comune.
 

Gianco

Membro Storico
Professionista
Tutti i tubi devono distare un metro dal confine. L'unica eccezione si ha per "destinazione del padre di famiglia", ovvero se i fabbricati finitimi sono stati costruiti dallo stesso proprietario di entrambi i lotti.
 

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