E tra l'altro la rinuncia della proprietà in favore dello Stato Italiano è soggetta a controlli e non è affatto semplice come intuitivamente si potrebbe pensare.
CITO LA FONTE e poi copio:
Si può cedere la proprietà di un immobile allo Stato?
(... omissis ...) Il Ministero della Giustizia ha invece richiamato un recente parere dell’
Avvocatura generale dello Stato con cui sono state esaminate le principali criticità di questo istituto. Secondo la nota, è ammissibile che, con un atto unilaterale, il proprietario rinunci al diritto di proprietà di un bene immobile (cosiddetta rinuncia abdicativa), con l’effetto che il diritto di proprietà viene acquisito dallo Stato. Questo «effetto giuridico acquisitivo, in capo all’Erario, dell’immobile … si produce automaticamente per effetto della manifestazione di volontà esternata dal privato nell’atto di rinuncia».
È, però, inammissibile rinunciare al diritto di proprietà «al solo fine, egoistico, di trasferire in capo all’Erario … – e dunque in capo alla collettività intera – i costi necessari per le opere di consolidamento, di manutenzione o di demolizione dell’immobile»: in tal caso, l’atto di rinuncia è nullo.
L’avvocatura, riconoscendo dunque che appartiene alle facoltà del proprietario di rinunciare a qualsiasi diritto, e quindi anche al diritto di proprietà, con l’effetto di rendere lo Stato proprietario del bene rinunciato,
afferma la nullità dell’atto di rinuncia quando con esso il proprietario, ad esempio, persegua l’intento di liberarsi di:
- terreni con evidenti problemi di dissesto idrogeologico (al fine di evitare i costi per «opere di consolidamento, demolizione e manutenzione»);
- edifici inutilizzabili e diruti (al fine di evitare i «costi di demolizione»);
- terreni inquinati (per gravare sullo Stato le spese di bonifica).
Secondo l’Avvocatura è possibile addirittura parlare di cause di nullità della cosiddetta rinuncia abdicativa alla proprietà immobiliare, con conseguente responsabilità del rinunciante per i «danni a cui questi abbia dato causa con il fatto proprio omissivo». La nota ministeriale, infatti, invita da un lato il rinunciante a comunicare il relativo atto al Demanio e, dall’altro – per il tramite dei Consigli notarili – fa “pressing” sui notai che ricevono atti di rinuncia a fare altrettanto in modo che il competente ufficio del Demanio possa «adottare tutte le iniziative opportune anche a tutela della pubblica incolumità» in attesa che lo Stato impugni l’atto di cessione del privato per nullità. Insomma, un vero e proprio scontro tra ministero e codice civile.
L’atto di rinuncia sarebbe inoltre qualificabile in «frode alla legge» perché volto «al conseguimento di un risultato in contrasto» con il dettato costituzionale; e da ritenersi stipulato in spregio al divieto di abuso del diritto, «laddove la rinuncia venga posta in essere al solo fine (utilitaristico ed egoistico) di trasferire in capo alla collettività gli oneri connessi alla titolarità del bene e la relativa responsabilità per gli eventuali futuri danni. «
La rinuncia immobiliare potrebbe ritenersi ammissibile quando abbia ad oggetto un terreno semplicemente non produttivo e quindi manchi, in concreto, quell’intento elusivo ed egoistico che caratterizza le ipotesi sopra esaminate». È chiaro che se l’atto di rinuncia fosse tacciato di nullità, una qualificazione in tal senso potrebbe derivare solo da un accertamento giudiziale in esito a un giudizio nel quale l’onere della prova della illiceità del negozio di rinuncia – come l’avvocatura riconosce – «grava integralmente … sul Demanio attore».