Salve
volevo sottoporre alla vostra attenzione una situazione delicata che mi vede coinvolto.
Nel 2014 ho comprato all’asta fallimentare due appartamenti facenti parte di uno stabile dei primi del 900, in condizioni piuttosto degradate e pertanto con necessità di ristrutturazione.
Per motivi di differenti pratiche fallimentari, la maggior parte dello stabile veniva venduto in una procedura d’asta e la restante parte in un’altra procedura.
Insomma, affinché fosse venduto tutto, è occorso un anno.
Nel frattempo, su indicazione della stessa proprietaria esecutata, abbiamo recuperato il primissimo atto di vendita (1960) in cui il Canapificio Lanificio Italiano, dopo aver trasformato lo stabile da industriale a abitativo, vendeva a singoli cittadini gli appartamenti così formati. In questo atto si stabilivano le rispettive quote millesimali ed inoltre si faceva un riferimento piuttosto generico alle parti comuni, elencandole (tetto, solai, muri,…).
Con gli anni (arriviamo a inizio 2000) uno dei proprietari ha voluto annettere la porzione di sottotetto soprastante al suo appartamento, e per fare ciò è stato redatto un nuovo atto notarile in cui peraltro il neo-proprietario della porzione di sottotetto ribadiva però il suo interesse a mantenere le sue quote millesimali sulla restante parte di sottotetto, nonché sulle parti comuni.
Venendo ai nostri giorni, è successo che colui che ha comprato la porzione di stabile con sottotetto di proprietà esclusiva (di fatto trattasi di un terracielo, connesso e contiguo però al restante stabile) ha sin da subito contestato di far parte del condominio, anche se ha presenziato ad alcune riunioni e persino pagato alcune rate.
Poichè era nostro interesse ristrutturare, dopo una trattativa infinita, eravamo giunti alla decisione di separare il condominio, a patto che lui rinunciasse alla sua quota di parti comuni dello stabile. A fronte di ciò, non gli avremmo chiesto soldi per la ristrutturazione (la trattativa era complessa, poichè i piani alti volevano tenersi il sottotetto ad uso esclusivo e avrebbero pagato completamente le spese di rifacimento della copertura, mentre il condomino “che si sarebbe separato” si teneva una porzione del cortile comune che si trovava di fronte alla sua abitazione).
Quando finalmente stavamo per andare dal notaio a mettere per iscritto i vari passaggi, il condominio “che si sarebbe separato” ha fatto presente che per lui i patti non erano più validi poichè era in corso la causa di divorzio dalla moglie.
A questo punto, tramite i suoi avvocati, il condomino “che si sarebbe separato” ha fatto sapere che lui non è mai appartenuto al condominio e che pertanto tutte le nostre richieste era nulle e che qualsiasi ristrutturazione avessimo messo in atto, ce l’avrebbero bloccata e contestata.
Ad oggi abbiamo incaricato un avvocato di procedere giudizialmente per recuperare la somma di spese condominiali non pagata (peraltro la ex-moglie del condomino “che si sarebbe separato” e che attualmente vive nella casa, sta pagando il 50% delle spese ordinarie), ma soprattutto con l’intento di mettere in chiaro che il condominio esiste ed è sempre esistito.
La mia domanda è la seguente: il condomino “che si sarebbe separato” in una riunione aveva fatto allegare al verbale che lui contestata l’appartenenza al condominio e che la sua partecipazione alle riunioni ed anche il pagamento delle spese non costituivano a suo dire tacita adesione. E’ una posizione sostenibile?
Seconda domanda: noi possiamo avviare una ristrutturazione dello stabile, esclusa la casa del condomino “che si sarebbe separato”? Peraltro la casa di questo condomino è quella in migliori condizioni e ha un tetto nuovo (peraltro di sua completa proprietà). Oppure siamo tenuti a fare la facciata anche di quella casa?
Avete idee o esperienze simili?
volevo sottoporre alla vostra attenzione una situazione delicata che mi vede coinvolto.
Nel 2014 ho comprato all’asta fallimentare due appartamenti facenti parte di uno stabile dei primi del 900, in condizioni piuttosto degradate e pertanto con necessità di ristrutturazione.
Per motivi di differenti pratiche fallimentari, la maggior parte dello stabile veniva venduto in una procedura d’asta e la restante parte in un’altra procedura.
Insomma, affinché fosse venduto tutto, è occorso un anno.
Nel frattempo, su indicazione della stessa proprietaria esecutata, abbiamo recuperato il primissimo atto di vendita (1960) in cui il Canapificio Lanificio Italiano, dopo aver trasformato lo stabile da industriale a abitativo, vendeva a singoli cittadini gli appartamenti così formati. In questo atto si stabilivano le rispettive quote millesimali ed inoltre si faceva un riferimento piuttosto generico alle parti comuni, elencandole (tetto, solai, muri,…).
Con gli anni (arriviamo a inizio 2000) uno dei proprietari ha voluto annettere la porzione di sottotetto soprastante al suo appartamento, e per fare ciò è stato redatto un nuovo atto notarile in cui peraltro il neo-proprietario della porzione di sottotetto ribadiva però il suo interesse a mantenere le sue quote millesimali sulla restante parte di sottotetto, nonché sulle parti comuni.
Venendo ai nostri giorni, è successo che colui che ha comprato la porzione di stabile con sottotetto di proprietà esclusiva (di fatto trattasi di un terracielo, connesso e contiguo però al restante stabile) ha sin da subito contestato di far parte del condominio, anche se ha presenziato ad alcune riunioni e persino pagato alcune rate.
Poichè era nostro interesse ristrutturare, dopo una trattativa infinita, eravamo giunti alla decisione di separare il condominio, a patto che lui rinunciasse alla sua quota di parti comuni dello stabile. A fronte di ciò, non gli avremmo chiesto soldi per la ristrutturazione (la trattativa era complessa, poichè i piani alti volevano tenersi il sottotetto ad uso esclusivo e avrebbero pagato completamente le spese di rifacimento della copertura, mentre il condomino “che si sarebbe separato” si teneva una porzione del cortile comune che si trovava di fronte alla sua abitazione).
Quando finalmente stavamo per andare dal notaio a mettere per iscritto i vari passaggi, il condominio “che si sarebbe separato” ha fatto presente che per lui i patti non erano più validi poichè era in corso la causa di divorzio dalla moglie.
A questo punto, tramite i suoi avvocati, il condomino “che si sarebbe separato” ha fatto sapere che lui non è mai appartenuto al condominio e che pertanto tutte le nostre richieste era nulle e che qualsiasi ristrutturazione avessimo messo in atto, ce l’avrebbero bloccata e contestata.
Ad oggi abbiamo incaricato un avvocato di procedere giudizialmente per recuperare la somma di spese condominiali non pagata (peraltro la ex-moglie del condomino “che si sarebbe separato” e che attualmente vive nella casa, sta pagando il 50% delle spese ordinarie), ma soprattutto con l’intento di mettere in chiaro che il condominio esiste ed è sempre esistito.
La mia domanda è la seguente: il condomino “che si sarebbe separato” in una riunione aveva fatto allegare al verbale che lui contestata l’appartenenza al condominio e che la sua partecipazione alle riunioni ed anche il pagamento delle spese non costituivano a suo dire tacita adesione. E’ una posizione sostenibile?
Seconda domanda: noi possiamo avviare una ristrutturazione dello stabile, esclusa la casa del condomino “che si sarebbe separato”? Peraltro la casa di questo condomino è quella in migliori condizioni e ha un tetto nuovo (peraltro di sua completa proprietà). Oppure siamo tenuti a fare la facciata anche di quella casa?
Avete idee o esperienze simili?